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LA GRAPPA DEL COMMISSARIO

storie di un invisibile immaginario italiano

“…galleggiando sull’abisso di una scena che non era più la mia, mi immersi in quel vortice cristallino che si richiuse su di me come una morbida bolla.” “Sostenuta dalla sua forza e cullata dall’aroma delicato, per quasi un giorno intero e una notte mi lasciai trasportare alla deriva su un mare di alcol morbido e speziato. I miei fantasmi, disinnescati dall’ebrezza, mi nuotavano accanto senza toccarmi, il sonno veniva a tratti sfiorandomi appena.” Frammenti dell’epilogo di “La testa e la coda” di Enrico Pandiani. Storia tra giallo e noir ambientata tra le distillerie del vicentino. Romanzo dedicato alla nostra famiglia. I distillati, specialmente quelli della tradizione anglosassone, trovavano ampi spazi nella letteratura di genere e nel cinema, specie nei thriller e nelle spy story di qualche decennio fa, fino al loro inevitabile bando dovuto ad un uso sempre più banale ed esplicitamente strumentale. Altra cosa erano i Commissari Maigret col Calvados, i Gimlet di Marlowe, gli infiniti Martini di Bond sulla cui miscelazione ci si accapiglia ancora. La grappa in letteratura e al cinema non trova estimatori famosi, personaggi abbastanza maledetti che ne facciano un uso smodato e proibito. È un dato di fatto, la grappa è storia, tradizioni, valori famigliari, storie quotidiane lontane dalle urla e dagli eccessi. Forse ci manca di raccontare un mondo che nasconde lati meno banali. Storie anche forti in cui grappe uniche, difficili, morbide e taglienti segnano il prima e il dopo, le pause, i silenzi, l’amore, la vita di un territorio magico e imprevedibile.

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